Banksy è uno degli artisti più famosi e controversi del panorama contemporaneo. La sua strategia del voler lavorare nell’ombra e non rivelare la propria identità anagrafica è una condizione necessaria e irrinunciabile per sfuggire a ogni tipo di controllo: sull’invisibilità Banksy ha costruito la sua popolarità. Noto soprattutto per i dipinti su strada, Banksy ha utilizzato diverse modalità per sviluppare la sua concezione dell’arte come protesta e disubbidienza al sistema. Nei soggetti dei murales, nei dipinti e nelle stampe l’artista inserisce sempre una nota apparentemente incongrua e spiazzante. Riesce così a catturare e calamitare l’attenzione e a indurci a osservare in maniera più approfondita ciò che abbiamo di fronte per comprenderne il significato. Ciò che conta per Banksy, in definitiva, non è tanto la forma quanto il messaggio.

“Amo i graffiti. Amo questa parola. I graffiti per me sono sinonimo di meraviglia. Qualsiasi altro genere artistico in confronto è un passo indietro, non c’è dubbio.”

Banksy proviene dalla forte vocazione antagonista e underground del punk, con una connotazione anti–intellettuale e sub–culturale, che ha come punto di riferimento un mondo di “minor players” e “beautiful losers” (“the history is not made by great men”, come intonava la punk band dei Gag of Four). Il movimento ha dato vita a dei codici di protesta visiva con un impatto che possiamo definire planetario, l’eredità visiva del punk è ampia e i suoi codici grafici simbolizzano la lotta e la resistenza, ma anche un vocabolario visivo subculturale complesso per consumatori profondamente anti–autoritari, con cui Banksy si è mescolato. “Come molte persone, fantastico che tutti i piccoli perdenti possano unirsi insieme. Io fornisco a tutti questi parassiti un equipaggiamento adatto e poi il sottosuolo verrà fuori terra e farà a pezzi questa città”

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